La preparazione del baccalà alla vicentina rappresenta uno degli esempi più illustri della cucina tradizionale veneta, tanto da essere difesa con passione e rigore da confraternite e cultori della buona tavola. Pur essendo un piatto noto e molto imitato, la sua realizzazione autentica non ammette scorciatoie: senza uno specifico passaggio, spesso trascurato, il risultato finale non sarà mai fedele all’originale della tradizione vicentina. Chi desidera onorare questa ricetta deve, infatti, rispettare ogni dettaglio, a partire dalla materia prima fino alla metodologia di cottura, in particolare quel gesto antico che si tramanda di generazione in generazione.
Lo stoccafisso: la vera identità della ricetta
Un errore comune, nell’ambito della preparazione domestica e perfino in molte cucine professionali, è confondere lo stoccafisso col baccalà. Benché entrambi derivino dal merluzzo, la differenza si trova nella lavorazione: il baccalà è messo sotto sale, mentre lo stoccafisso è essiccato all’aria. Se si ambisce a raggiungere la purezza del piatto vicentino, bisogna utilizzare solo il pregiato stoccafisso norvegese, meglio se della varietà “ragno”, riconosciuta dagli esperti come la più adatta per consistenza e sapore. Già dalla spesa, quindi, inizia la fedeltà alla tradizione.
Lo stoccafisso arriva sulle nostre tavole in una forma rigida e legnosa. Prima di ogni altra operazione, è indispensabile procedere con un lunghissimo ammollo – di almeno tre giorni – in acqua fredda, cambiando frequentemente l’acqua per facilitare la reidratazione. Questo delicato passaggio permette al pesce di recuperare morbidezza e volume, diventando pronto per la fase successiva. Non è un compito sbrigativo: chi salta o abbrevia questa fase compromette irrimediabilmente la riuscita della ricetta.
La pulitura e il taglio: la cura nei dettagli
Dopo l’ammollo, il pesce va accuratamente pulito: si eliminano la pelle, tutte le spine e la lisca centrale. Bisogna tagliarlo a pezzi – generalmente di medio-piccole dimensioni – che andranno poi leggermente infarinati. In alcune versioni trasmesse dalle nonne, si suggerisce di aprire il pesce “a libro”, farcire l’interno con il composto aromatico di cipolla, prezzemolo e sarde, e poi richiudere prima di suddividerlo. Questo permette di amalgamare meglio i sapori nei tranci che verranno successivamente rifiniti nel soffritto.
Uno degli ingredienti chiave è il composto di cipolle stufate e sarde sott’olio o acciughe, a cui spesso si aggiunge prezzemolo. Questa base aromatica conferisce al piatto note dolci e salmastre che si sposeranno con la delicatezza del pesce e la ricchezza dell’olio extravergine. Anche la scelta delle sarde o delle acciughe divide i puristi, ma la ricetta vicentina ammette entrambe, purché siano in quantità moderata e ben sciolte durante la rosolatura delle cipolle.
Un’insolita abbondanza di olio: la fedele interpretazione vicentina
Il baccalà alla vicentina si distingue da molte altre preparazioni di pesce proprio per l’enorme quantità di olio extravergine di oliva impiegata: spesso in proporzioni quasi pari al volume del pesce. Questa abbondanza non solo previene che i tranci si attacchino durante la lunghissima cottura, ma permette una straordinaria emulsionatura del fondo, che trasforma il piatto quasi in una crema. Anche il latte fresco, elemento essenziale, partecipa a questo matrimonio tra grassi e aromi che rende unico il risultato. A questi si aggiunge, come da tradizione, una modesta quantità di formaggio grana o parmigiano grattugiato, capace di arrotondare ulteriormente il gusto.
Le fasi successive sono quasi rituali: i tranci infarinati vengono immersi nel fondo aromatico di cipolla e acciughe, stratificati nella pentola alternandoli ad altro soffritto e coperti generosamente con olio e latte. Il sale e il pepe vengono dosati solo alla fine, per non alterare il bilanciamento dei sapori durante la lunga cottura.
Il passaggio segreto: non mescolare, solo “pipare”
Ecco il passaggio segreto senza il quale non si può davvero parlare di baccalà alla vicentina: durante le 4 ore (o più) di cottura a fiamma bassissima, il pesce non va mai mescolato. Sono severamente vietati mestoli e cucchiai che rischierebbero di spezzare i tranci e compromettere la tipica consistenza morbida ma compatta. La maestria sta nel lasciare che il pesce cuocia lentamente, sobbollendo appena – “pipare”, termine dialettale che indica una leggera ebollizione appena percettibile – e, al limite, scuotere dolcemente la pentola in senso rotatorio, senza mai forzare i tranci. Questo gesto antico consente al pesce di non attaccarsi e garantisce una cottura uniforme, mentre il fondo si addensa progressivamente in una salsa cremosa e avvolgente.
Questa attenzione al dettaglio rappresenta il vero segreto della ricetta originale. Nelle cucine moderne, dove si cerca talvolta di abbreviare o semplificare i passaggi, si rischia di minare l’integrità del piatto: il risultato non avrà mai la stessa consistenza e il magico equilibrio di sapori se si cede alla tentazione di mescolare. Anche la scelta della pentola è importante: la tradizione predilige un recipiente di coccio, perché trattiene meglio il calore e favorisce una cottura dolce e costante, impossibile da replicare su pentole troppo sottili o d’acciaio leggero.
Delizie del territorio: la polenta e gli abbinamenti ideali
Come nella migliore tradizione veneta, il vero compagno di questo piatto è la polenta, rigorosamente bianca e servita a fette calde o grigliate. Il contrasto tra la cremosità del baccalà e la delicatezza della polenta crea un abbinamento unico, ricco ma mai pesante. Per accompagnare il baccalà alla vicentina, si prediligono vini bianchi morbidi e discretamente aromatici, in grado di sostenere la sapidità e l’intensità aromatica del piatto.
Solo seguendo ogni passaggio tradizionale, soprattutto quello della “pipata” senza mescolare, si può celebrare davvero questa straordinaria ricetta, capace di raccontare una storia di cultura, territorio e passione per la cucina autentica. Chi trascura anche uno solo di questi dettagli potrà preparare un buon piatto di pesce, ma non potrà mai – con onestà – chiamarlo baccalà alla vicentina.








